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Danno parentale: cos'è, come si calcola e chi ne ha diritto

In questa guida parliamo di danno parentale con un focus sulla sua evoluzione giurisprudenziale, suii criteri di calcolo (Tabelle di Milano, Roma), e le differenze tra danno da morte e da lesione grave.

Il danno parentale non è solo una categoria giuridica, ma una forma di riconoscimento della centralità dei legami affettivi nella vita delle persone. Il diritto offre una risposta monetaria a una perdita che monetaria non è, ma che ha un valore profondo e costitutivo per l’identità individuale.

Il danno parentale: una categoria autonoma nel sistema della responsabilità civile

Nel nostro ordinamento il danno parentale rappresenta una delle espressioni più complesse del danno non patrimoniale. È una forma di pregiudizio che non deriva da un danno diretto subito dalla vittima primaria di un illecito, bensì dalle ripercussioni emotive, psicologiche ed esistenziali che quell’evento traumatico provoca nei familiari.

In particolare, si tratta della sofferenza provocata dalla perdita o dalla compromissione grave del rapporto con una persona cara, a seguito di un fatto lesivo altrui, doloso o colposo.

Questo tipo di danno viene riconosciuto a favore del congiunto superstite quando la vittima di un illecito muore (danno da perdita del rapporto parentale) oppure quando subisce una lesione talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione di un rapporto affettivo normale (danno da alterazione irreversibile della relazione).

Il danno parentale non è quindi un’appendice del danno biologico della vittima, ma una categoria autonoma, che tutela il diritto del familiare alla integrità della propria vita affettiva e relazionale. Non si tratta di un danno patrimoniale: non richiede la prova di una perdita economica, ma si basa sull’offesa alla dimensione più intima della persona, protetta anche dall’art. 2 della Costituzione.

L’evoluzione giurisprudenziale: dalla marginalità al riconoscimento pieno

Per lungo tempo, il danno parentale è rimasto in una zona grigia, confuso con la mera sofferenza morale o con il danno patrimoniale da perdita del sostegno familiare. È stato solo con l’evoluzione giurisprudenziale degli anni Duemila, e soprattutto con le sentenze delle Sezioni Unite del 2008 (Cass. SS.UU. 26972/2008), che si è chiarito il suo statuto autonomo all’interno della responsabilità civile.

Oggi la Cassazione riconosce esplicitamente che il danno parentale è parte integrante del danno non patrimoniale, ma non si riduce al danno morale soggettivo. Si compone di una dimensione interiore (sofferenza psichica) e di una dimensione relazionale (alterazione concreta della vita quotidiana), configurando un pregiudizio composito, non sempre misurabile ma giuridicamente tutelabile.

Inoltre, la giurisprudenza ha superato il vincolo rigido della parentela legale. Non conta più solo la linea di sangue o la convivenza, ma la qualità del rapporto affettivo, che può esistere anche in assenza di un vincolo giuridico (come nelle unioni di fatto). Il danno è riconoscibile in favore di chi dimostra una relazione stabile, significativa, profondamente radicata nella quotidianità.

Chi ha diritto al risarcimento del danno parentale?

Perché un soggetto possa ottenere il risarcimento del danno parentale, devono sussistere due elementi fondamentali: un evento lesivo ingiusto (la morte o la lesione gravissima di un congiunto) e un vincolo affettivo tale da rendere presumibile un pregiudizio significativo.

Sono legittimati a chiedere il risarcimento, in via generale, i genitori, i figli, il coniuge, i fratelli, i nonni, i partner conviventi. La giurisprudenza ha incluso anche altri soggetti, purché siano in grado di dimostrare — anche per presunzioni — una relazione di fatto consolidata. Per esempio, può accedere al risarcimento il compagno di una relazione stabile, anche se non sposato né convivente, se il legame è documentato con testimonianze, fotografie, viaggi, corrispondenze.

Il danno può essere chiesto sia in sede civile ordinaria sia come parte civile nel processo penale, purché venga allegato e motivato in modo coerente.

Le due ipotesi principali: morte del congiunto e lesioni gravissime

Il danno parentale trova la sua applicazione classica nel caso in cui una persona perda la vita per un fatto illecito. Ma oggi è pienamente riconosciuto anche nelle ipotesi in cui la vittima sopravvive, ma riporti menomazioni talmente gravi da impedire per sempre il rapporto con i familiari.

Nel caso della morte, il diritto al risarcimento nasce nel momento in cui si verifica il decesso. I congiunti subiscono un’interruzione definitiva del rapporto affettivo. Quando invece si tratta di lesioni, il danno non sorge automaticamente: bisogna dimostrare che la menomazione ha avuto effetti irreversibili sul piano relazionale, per esempio se la vittima è in stato vegetativo, ha perso l’uso della parola o ha subìto un grave deterioramento mentale.

È importante precisare che la Corte di Cassazione (sent. n. 28989/2019) ha confermato che anche in assenza di decesso può esserci un danno parentale risarcibile, purché il danno alla vittima sia “massimamente invalidante” e tale da azzerare il rapporto interpersonale.

La quantificazione: il ruolo delle Tabelle di Milano

La quantificazione del danno parentale non è lasciata al puro arbitrio. I giudici si avvalgono di strumenti di riferimento condivisi, in primis le Tabelle del Tribunale di Milano, costantemente aggiornate dall’Osservatorio sulla giustizia civile. Queste tabelle offrono una forbice di valori monetari, differenziati in base al grado di parentela, all’età delle parti, alla convivenza, al numero dei superstiti e all’intensità della relazione.

Ad esempio, per la perdita di un figlio, l’importo va da 170.000 a 360.000 euro. Per un genitore, da 150.000 a 300.000. Per il coniuge convivente, tra 160.000 e 320.000 euro. Fratelli e nonni hanno riconoscimenti più contenuti, ma comunque rilevanti, se sussiste una relazione stretta e continua.

Il giudice non è vincolato alla cifra media: può salire o scendere nella forbice motivando in modo specifico. Inoltre, può attribuire personalizzazioni in presenza di condizioni particolari: minori coinvolti, convivenza prolungata, disabilità dei superstiti, ecc.

Calcolo online: l’utilità dello strumento Andreani

Per agevolare il calcolo e offrire uno strumento accessibile anche agli operatori non specializzati, il sito giuridico Studio Andreani ha messo a disposizione un simulatore aggiornato alle Tabelle Milano. Inserendo i dati anagrafici delle parti e la tipologia del legame, il sistema restituisce un valore monetario indicativo, personalizzabile in base alla casistica.

Non si tratta di un calcolo vincolante per il giudice, ma di un valido supporto per valutare l’ordine di grandezza del risarcimento e impostare una richiesta equilibrata e fondata.

Calcolo del danno parentale: tabelle di Roma

Anche il Tribunale di Roma ha elaborato delle tabelle specifiche, utilizzate nei fori del Centro Italia. A differenza del modello milanese, quello romano non propone una forbice, ma una cifra fissa orientativa, che può essere aumentata o diminuita sulla base di correttivi. La perdita di un figlio, ad esempio, viene valutata intorno ai 300.000 euro, quella di un coniuge sui 250.000.

Le tabelle di Roma danno spazio anche al concetto di danno dinamico-relazionale, cioè al mutamento radicale dello stile di vita del superstite a causa del lutto, oltre alla sofferenza morale. Il giudice può tener conto delle conseguenze pratiche, emotive e sociali subite dalla persona colpita.

Il danno da morte e il risarcimento agli eredi

Il danno parentale va distinto da un’altra figura giuridica: il danno da morte iure hereditatis. Questo è il danno subìto dalla persona deceduta, nel periodo che intercorre tra l’evento lesivo e la morte effettiva. È trasmissibile agli eredi e può essere liquidato anche quando la vittima non ha potuto esprimere verbalmente la propria sofferenza, se la morte non è stata istantanea.

In questi casi, si riconosce un danno biologico “terminalistico”, che può cumularsi con il danno parentale dei familiari. La Corte di Cassazione ha più volte precisato che i due pregiudizi sono autonomi e cumulabili, poiché si riferiscono a soggetti e interessi diversi.

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