La Cassazione, Sez. Lav., con la sentenza n. 678 del 2023, con la richiamata pronuncia ha stabilito che in tema di risarcimento danni malattia professionale, l'onere della prova del nesso causale tra prestazione lavorativa e danno, incombe su colui che ne chiede il riconoscimento, che potrà a tal fine avvalersi anche delle certificazioni I.N.A.I.L. - nello specifico riferite all'esposizione all'amianto e all'origine professionale della malattia.
La rilevanza probatoria, sia pure non dirimente, non è subvalente rispetto all'accertamento giudiziale, una volta che detti documenti siano entrati a far parte, nel contraddittorio tra le parti, del materiale probatorio utilizzabile ex art. 115 c.p.c., comma 1.
6.1. E proprio in tale ambito valutativo del nesso eziologico, Cass. civ., sez. lav., 16.3.2015, n. 5174, ha ricordato anzitutto circa le certificazioni Inail in questione di aver "già avuto modo di puntualizzare la loro rilevanza al di fuori dello specifico contesto di riferimento in cui sono emesse (Cass., n. 18008 del 2014)", vale a dire quello del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall'art. 13, comma 8, L. 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni.
6.2. Inoltre, appunto in relazione a fattispecie concreta simile a quella che qui ci occupa (riguardante domanda risarcitoria ex art. 2087 c.c. contro due datrici di lavoro), la suddetta decisione ha specificato che dette certificazioni INAIL, se non possono avere valore dirimente, "possono assumere rilievo ai fini di concorrere ad integrare la prova circa l'esposizione" all'amianto.
Risulta, perciò, in contrasto con la rilevanza probatoria, sia pure non dirimente, da assegnare alle ridette certificazioni l'assunto che pare prospettato dalla Corte territoriale secondo il quale il rilievo delle stesse sarebbe subvalente (rispetto all'accertamento giudiziale) in ragione del fatto che tali certificazioni sono formate in sede amministrativa al di fuori di un "contraddittorio" con la datrice di lavoro. La stessa Corte, inoltre, ha ritenuto che il relativo accertamento dell'ente previdenziale "non può esaurire la prova del nesso eziologico tra lavorazioni svolte e patologia lamentata"; il che potrebbe essere teoricamente condivisibile, ma, in assenza di ulteriori specificazioni, finisce con l'annichilire del tutto la valenza di una fonte probatoria invece sicura e qualificata.
6.3. A riguardo va sottolineato che la stessa Corte di merito aveva riferito inoltre che, nell'ambito delle risultanze di natura documentale, le doglianze delle appellanti erano riferite, non solo all'apposita certificazione dell'Inail circa l'esposizione all'amianto, ma anche al pregresso riconoscimento di una malattia professionale da parte sempre dello stesso ente (cfr. sempre tra la pag. 8 e la pag. 9 della sua decisione).
Più nello specifico, la medesima Corte aveva dato conto che le attrici "premettevano che il loro dante causa aveva lavorato alle dipendenze della Semat, presso il cantiere Ilva di Genova, dal 04.05.1996 al 01.01.2010 con prolungata esposizione all'amianto. In data 25.08.2014 gli veniva diagnosticata una sospetta neoplasia polmonare, poi confermata anche dall'Inail in data 20.11.2014, che lo riconosceva, ai sensi del D.M. n. 30 del 12.01.2011, affetto da malattia professionale causata da esposizione all'amianto. Successivamente in data 15.10.2015 il sig. M.S. decedeva".
La Corte territoriale, perciò, disponeva di questo ulteriore dato estrinseco di potente e specifico riscontro di quanto certificato dall'INAIL circa l'esposizione ad amianto.6.4. Lo stesso dato, invece, non risulta praticamente considerato dal giudice a quo, se non molto indirettamente, quando, cioè, ha richiamato, tra gli altri, il passo della relazione del C.T.U., in cui si legge: "Non si può escludere che nel corso dell'attività lavorativa svolta dal 1996 al 2009 alle dipendenze della Semat S.p.A. presso l'ILVA, in particolare nei primi 9 anni (ossia nel periodo antecedente al 2005, stante la cessazione da tale anno delle lavorazioni a caldo nello stabilimento), il sig. M.S. sia stato esposto - indirettamente e non continuativamente - a inquinanti potenzialmente nocivi o cancerogeni per l'apparato respiratorio, tra i quali l'amianto".
Le ricorrenti, però, hanno evidenziato che sempre il medesimo consulente d'ufficio aveva anche scritto: "Quanto detto, è bene ripeterlo, non porta necessariamente a negare le conclusioni dell'INAIL, almeno per quanto riguarda il parere positivo sulla malattia professionale e su una m.p. conseguita in particolare all'esposizione all'amianto".
6.5. Infine, il punto di motivazione, in precedenza riportato, in cui la Corte d'appello ha affermato l'autonomia dell'accertamento condotto in ambito giudiziario rispetto a quello condotto in sede amministrativa dall'INAIL, implicitamente reputando prevalente il primo, è giuridicamente erroneo anche sotto un ulteriore profilo.
Si trascura di considerare, infatti, che, pur essendo le ricorrenti tenute a provare la sussistenza del nesso causale tra quanto occorso al loro congiunto deceduto e le prestazioni lavorative da quello rese in vita alle dipendenze della convenuta, i documenti di cui s'è detto, provenienti dall'INAIL (sia l'apposita certificazione che i documenti relativi al riconoscimento della malattia professionale), per loro iniziativa erano sin dall'inizio entrati a far parte del materiale probatorio utilizzabile ex art. 115, comma primo, c.p.c. in una situazione di pieno contraddittorio.
Per conseguenza, il parallelismo, intravisto dai giudici di secondo grado, tra un accertamento "autonomo" condotto in sede giudiziale e quello espletato in sede amministrativa dall'INAIL è privo di giuridico fondamento.
Anche documenti provenienti dall'INAIL, indubbiamente significativi del rapporto causale, pur se singolarmente considerati non esaustivi a riguardo, dovevano essere apprezzati, viepiù a fronte di un parere del consulente d'ufficio che, come si è visto, non ne smentiva la rilevanza; peraltro, a maggior ragione a fronte delle contestazioni delle ricorrenti di quel parere, pure a mezzo del proprio consulente di parte, incombeva sui giudici di merito anche l'onere di controllarne, in questo caso sì autonomamente, la coerenza anzitutto logica.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 18.10.2022