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Published: Agosto 9, 2022

Fibronit di Broni: assolti gli ex amministratori

Assolti i due imputati dell’ex Fibronit di Broni, accusati di omicidio colposo. Le morti erano legate all’amianto.

Fibronit di Broni: vicenda giudiziaria che dura da 17 anni

Fibronit di Broni (Pavia). Nessuno è responsabile per le vittime di amianto dell’ex Fibronit di Broni.

Assolti! Questo l’asciutto verdetto della Corte d’Appello di Milano, presieduta dal giudice Valeria De Risi, a latere Francesca Vitale e Cristina Di Censo.

Ripercorriamo le tappe del processo

Nel 2004 erano state depositate le prime denunce a carico di dieci ex-amministratori dell’azienda Fibronit. Ai funzionari si attribuiva la responsabilità per gli oltre 400 decessi riconducibili all’esposizione all’amianto.

Il procedimento era circoscritto a soli 27 morti, avvenute dopo il 2002 . Tre i capi di imputazione a carico degli ex dirigenti dell’azienda: omicidio colposo plurimo, omissione dolosa delle normative dell’antinfortunistica sui luoghi di lavoro e disastro ambientale doloso.

Nel 2017 il tribunale di Pavia aveva condannato in primo grado Michele Cardinale e Lorenzo Mo (ex vertici della Fibronit), rispettivamente a 4 anni il primo e 3 anni e 4 mesi il secondo.

Nel 2020 la Cassazione aveva tuttavia annullato le condanne per l’ex amministratore delegato dell’azienda e per l’ex direttore della fabbrica (unici imputati rimasti su dieci iniziali). 

A maggio di quest’anno, la Procura generale aveva chiesto la condanna dei due funzionari, dando via al processo-bis.

Ritenuti colpevoli di omicidio colposo, per Cardinale si chiedeva una pena pari a 3 anni e 2 mesi, per Mo 2 anni e 8 mesi. 

Nessuna giustizia per le vittime di amianto 

Veniamo alla nuova sconcertante sentenza. Assolti! Una doccia fredda che lascia di stucco i familiari delle 27 vittime che rientrarono nel processo. 

Utile precisare che inizialmente, i morti accertati erano 275, un secondo procedimento, aveva invece censito in totale 480 decessi. Tutti successivi al periodo delle prime indagini. A perdere la vita, operai dell’azienda, ma anche semplici cittadini che abitavano nelle vicinanze.

Il numero è aumentato perché purtroppo l’amianto è subdolo e la sua incubazione può protrarsi per 30 – 40 anni. Difatti, nonostante la chiusura della Fibronit, ogni anno si registrano ancora circa 25 casi di mesotelioma pleurico. 

Numeri che sono destinati a crescere. Gli addetti ai lavori stimano infatti un picco di incidenza fra il 2020 e il 2025.

La reazione dei parenti delle vittime

Indignato Silvio Mingrino, che ha perso entrambi i genitori per via della prolungata esposizione al pericoloso patogeno. Il padre aveva respirato direttamente le sottilissime fibre killer durante le sue mansioni lavorative in fabbrica. La madre invece era venuta a contatto con il minerale indirettamente, dato che lavava le tute del marito ogni settimana. 

Quello di Mingrino non è un caso isolato. Il tasso di incidenza del mesotelioma maligno a Broni, per gli uomini è pari a 100 su 100mila abitanti e per le donne di 68,4 su 100mila, con il dato medio Regionale che è pari a 5,1 per 100mila negli uomini e 2,2 per 100mila nelle donne.

La dura reazione dell’avv. Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) 

Secca la risposta del presidente ONA, avv. Ezio Bonanni, che assiste Mingrino (costituitosi parte civile) «Solleciteremo il Procuratore generale della Corte di Appello di Milano ad impugnare in Cassazione. Confidiamo che la giustizia trionfi rendendo giustizia alle vittime e ai loro familiari».

L’indifferenza della Fibronit di Broni 

Nonostante le numerose evidenze scientifiche e mediche, attestanti la pericolosità dell’amianto, lo stabilimento della Fibronit di Broni non ha mai smesso di produrre cemento amianto. 

Tutto ebbe inizio nel 1919, quando l’azienda, seconda per dimensioni in Italia dopo la Eternit, aprì i battenti a Broni, piccolo centro abitato con meno di 10mila abitanti, alle porte di Pavia. 

La lavorazione dell’amianto iniziò però nel 1933.

Il profitto davanti a ogni cosa 

In un’area in cui la principale fonte di sostentamento derivava dall’attività agricola, l’insediarsi di uno stabilimento come la Fibronit, rappresentava un’occasione ghiotta per i residenti. 

In totale il territorio occupato era di 140.000 mq, di cui il 35% destinato a palazzine e uffici, nelle altre zone  si stoccavano invece i residui di lavorazione e vasche di liquami ad alto tenore di cromo e rifiuti pericolosi.

La mattina del 6 marzo del 1990 accadde tuttavia qualcosa che cambiò per sempre la storia della fabbrica. A causa di un guasto dei tubi dello stabilimento della Fibronit, una polvere bianca, un misto di cemento e amianto ricoprì la città.

Ciononostante, beneficiando di una deroga, la fabbrica rimase attiva fino al giugno del 1993. Sette anni più a lungo della Eternit, anche se la Legge 257 del 1992, aveva di fatto reso esecutivo il divieto di utilizzare questo minerale in Italia. Fibronit chiuse definitivamente i battenti nel 1994.

Come riferisce Gianluigi Vecchi di Legambiente Pavia , «la Fibronit era una realtà economica importante che ha coinvolto il comune pavese e il suo circondario dando lavoro a quasi 4mila persone, un aspetto non trascurabile in questa vicenda, perché le primissime denunce degli ambientalisti nei confronti sulla pericolosità di detto materiale, furono accolti con molto scetticismo se non addirittura ostilità».

«Anche questa è stata la vittoria del profitto sulla salute dei lavoratori e dei residenti» ha spiegato il  battagliero avvocato Bonanni nel: “Libro bianco delle morti di amianto in Italia – ed. 2022”. E come dimostrano i tantissimi casi di mesotelioma registrati dall’INAIL nel VII Rapporto ReNaM.

Fibronit: un sito altamente pericoloso

Con legge 179/2002, il sito della Fibronit di Broni fu inserito nell'elenco Sin (siti di interesse nazionale). Di conseguenza, in base alla legge 426 del 9 dicembre 1998, rientrò fra i siti che necessitavamo interventi di bonifica immediati.

In data 22 novembre 2007, il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lombardia, la provincia di Pavia e il comune di Broni firmarono “l’Accordo di Programma per la bonifica ed il ripristino ambientale del Sito di bonifica di interesse nazionale di Broni” . 

Tale accordo ebbe l’ approvazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con decreto prot. n. 4266/QdV/DI/B del 12 dicembre 2007. 

In data 29 luglio 2008 un’integrazione all’Accordo di Programma mise a disposizione una somma di 3.000.000 di euro per procedere con l’esecuzione dei lavori.

Il sito d’interesse nazionale di Broni comprendeva le aree denominate ex Fibronit, ex Ecored e Fibroservice S.r.l. Gli impianti, attualmente dismessi, erano legati alla produzione di manufatti di cemento amianto (tubi, lastre per coperture, pezzi speciali, ecc.).

Per inciso: la bonifica è terminata nel 2021.

ONA segnala altri siti

Stando alle stime effettuate dall’Osservatorio Nazionale Amianto, oltre ai Sin riconosciuti “ufficialmente”, ci sono ancora un milione di piccoli siti contaminati dall’amianto. Per questo l’associazione ha creato una App per le segnalazioni e la mappature delle aree a rischio.

L’associazione sta lavorando alla mappatura dei siti contaminati, ed è per questo che è stata realizzata anche l’App Amianto, che permette di individuare i siti contaminati e anche di segnalarli.

Un triste primato per la Fibronit di Broni 

Ma torniamo alla questione “salute”. A Broni e alle zone limitrofe dell’ Oltrepò pavese, spetta il triste primato delle morti per mesotelioma pleurico in Lombardia. Qui l’incidenza della malattia è più alta che a Casale Monferrato.

Ad annunciare questo triste primato, è uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista Medicina del Lavoro.  La ricerca è stata svolta dagli esperti del Dipartimento di Medicina Preventiva Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, in collaborazione con l’Università di Milano e quella di Firenze.

«Ai pazienti affetti da mesotelioma maligno è stato somministrato un questionario volto a comprendere quale fosse stata la personale storia di esposizione all’amianto». Queste le parole di Carolina Mensi, primo autore dello studio e Responsabile del Registro Mesoteliomi Lombardia (RML), attivo dal 2000 alla Fondazione IRCCS Ca’ Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. 

«Ai soggetti coinvolti nello studio sono state fatte domande sul tipo e durata di attività lavorativa svolta da loro e dai familiari conviventi. Sul tipo di abitazione, materiali utilizzati e su abitudini domestiche potenzialmente pericolose in riferimento all’esposizione all’amianto come lavare gli indumenti da lavoro dei familiari».

Cosa è emerso dallo studio

Lo studio ha rilevato che dal 1 gennaio del 2000 al 31 dicembre del 2012 le diagnosi di mesotelioma maligno sono state 4442: 2850 uomini (64,2% – età media 70.4 anni) e 1592 donne (35,8% – età media 73.8); al 90% localizzate alla pleura.
Il 73.6% delle neoplasie sono state classificate come occupazionali, ma sono in aumento anche i casi di esposizione tra i familiari dei lavoratori e quelli di esposizione ambientale (abitanti vicini allo stabilimento Fibronit.)

«Obiettivo del lavoro è stato quello di valutare la distribuzione geografica dei casi di mesotelioma maligno in Lombardia in funzione di una pregressa esposizione all’amianto ed eventualmente identificare nuove fonti di esposizione al minerale»- spiega Carolina Mensi

Esposizione occupazionale, familiare o ambientale 

Sulla base delle informazioni raccolte, l’esposizione all’amianto è stata poi classificata come “occupazionale”, “familiare” o “ambientale” .

«Questo tipo di classificazione, realizzata esaminando caso per caso e tenendo conto della durata dell’esposizione all’amianto, ci ha permesso di individuare la principale fonte di esposizione all’amianto», continua Mensi. 

Risultato? Un’esposizione di tipo occupazionale, legata quindi al lavoro svolto, ha coinvolto 2099 soggetti, il 73,6% dei casi. Ma le cifre potrebbero essere superiori.

Ma c’è di più. Quando tra il 2005 e 2009, la polizia giudiziaria ascoltò centinaia di ex lavoratori della Fibronit, alla domanda «È mai stato informato circa i fattori di rischio?» , rispose positivamente solo uno piccolo gruppo di operai. Cosa che non evidenzia di certo una volontà di tutelare la salute dei lavoratori.

Fonti

Amianto Broni 

Web Magazine Ambiente & Ambienti

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