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Il nesso di causalità nelle malattie professionali

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L'accertamento del nesso di causalità nelle malattie asbesto correlate e, in genere, nelle malattie c.d. professionali è una tematica fortemente attenzionata dalla giurisprudenza, date le peculiarità del decorso causale che ricollega le esposizioni ad agenti patogeni, che possano dirsi rilevanti ai fini dell'imputazione a titolo di responsabilità del soggetto garante, all'insorgere della malattia ed, infine, in molti casi, al verificarsi dell'evento letale.

Le conseguenze della scissione tra condotta ed evento

La prima difficoltà in cui si incorre quando si discute di causalità nell'ambito delle malattie professionali è data dal rilievo per cui, in queste ipotesi, l'insorgenza della malattia - e quindi la lesione del bene salute - ovvero l'evento-morte si verificano a distanza di tempo rispetto alla esposizione del lavoratore agli agenti patogeni che ne costituiscono la causa.

Infatti, la maggior parte dei tumori, o comunque delle malattie (come, in particolare, il mesotelioma pleurico) che originano dalle esposizioni delle vittime ad ambienti non salubri e nocivi per la salute, si palesano a distanza di molti anni rispetto al momento in cui il soggetto è stato esposto (o ha cessato di essere esposto) ad agenti nocivi durante la sua vita lavorativa.

Ciò comporta una serie di conseguenze di non poco conto sul piano del diritto, in quanto, oltre al problema dell'accertamento del nesso eziopatogenetico tra le esposizioni e l'insorgere della malattia, si pone la questione in ordine alla determinazione del tempus commissi delicti, dell'accertamento della colpa in capo ai soggetti ritenuti responsabili, la successione dei titolari della posizione di garanzia, nonché avuto riguardo all'acquisizione delle prove e di tutta un'altra serie dei elementi.

Il problema della successione di leggi penali nel tempo

Data pertanto la discrepanza temporale tra la condotta e l'evento (c.d. reati ad evento differito), si è posto anzitutto il problema della disciplina applicabile a tali fattispecie, in quanto si tratta di capire, una volta insorta la malattia, se, in caso di successione di leggi penali nel tempo, il responsabile della esposizione ad agenti patogeni (o meglio, come si vedrà, il responsabile della mancata adozione delle cautele necessarie volte ad evitare la verificazione di eventi lesivi, imposte dalla materia anti-infortunistica e dalla legislazione speciale) debba essere giudicato sulla base della normativa vigente al momento della condotta o se, piuttosto, debba essere giudicato in base a quella vigente al momento dell'evento.

Sul punto, prima dell'intervento delle Sezioni Unite nel 2018 (Cass., Sez. Un., 19 luglio 2018, n. 40986), che hanno aderito al criterio della condotta, si contrapponevano due orientamenti: un filone della giurisprudenza che riteneva che, nei reati ad evento differito, il tempus commissi delicti coincidesse con il momento consumativo del reato, ossia il momento di verificazione dell'evento, con la conseguenza che, applicando il c.d. criterio dell'evento, la legge applicabile sarebbe stata quella in vigore al momento dell'evento (cfr. Cass., Sez. IV Pen., 17 aprile 2015, n. 22379, Sandrucci e Cass., Sez. V Pen., 13 marzo 2014, n. 19008, Calamita).

Altro filone, invece, applicava il c.d. criterio della condotta, ritenendo che la legge applicabile dovesse essere quella in vigore al momento della realizzazione o dell'esaurimento della condotta (Cass., Sez. IV Pen., 5 ottobre 1972, n. 8448, Bartesaghi). Tale più risalente orientamento, sposato infine dalle Sezioni Unite, riteneva che, aderendo al criterio dell'evento, si sarebbe incorsi nella illegittima conseguenza di applicare una legge sfavorevole ad una condotta integralmente esauritasi sotto il vigore della lex mitior, tradendo di tal guisa il divieto di retroattività delle norme penali sfavorevoli, che gode di rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 25, comma secondo della Costituzione.

La c.d. causalità della colpa

Occorre considerare che, nelle materie anti-infortunistiche e di prevenzione dei lavoratori negli ambienti di lavoro, l'apparato di regole cautelari poste a presidio della concretizzazione dei rischi derivanti dall'attività svolta è fra i più nutriti e normati. Questo perché l'attività di impresa costituisce, di per sé, una fonte di rischio e, nel corso del tempo, sono stati registrati numerosissimi casi di lesioni individuali o diffuse al bene-salute dei lavoratori.

Per questo motivo, a partire dalla L. 12 febbraio 1955, n. 51 - che ha delegato il Governo ad adottare una serie di misure che costituissero la concretizzazione normativa del generico obbligo previsto dall'art. 2087 cod. civ., quale norma che impone al datore di lavoro di adottare, nell'esercizio della attività di impresa, tutte le misure che sono "necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" - si sono susseguiti una serie di interventi normativi volti ad offrire un sistema di regole cautelari poste a presidio della tutela dei lavoratori negli ambienti di lavoro.

Infatti, in questi frangenti in cui la lesione del bene salute è ascrivibile alla colpa, il terreno sul quale si opera è quello della prevenzione e dunque della previsione di un apparato normativo volto a neutralizzare o, quantomeno, circoscrivere il rischio di verificazione di eventi lesivi nel settore disciplinato.

Ciò posto, affinché possa ascriversi una responsabilità del datore di lavoro (o comunque del titolare di una posizione di garanzia) a titolo di colpa, è necessario che l'evento lesivo costituisca la concretizzazione del rischio che la norma cautelare violata mirava a scongiurare. In altri termini, occorre che il soggetto agente abbia violato proprio quella regola cautelare che mirava ad evitare la realizzazione dell’evento che si è poi, in concreto, verificato.

Questo è il tema della causalità della colpa, ossia dell'ulteriore accertamento, questa volta compiuto sul piano dell'elemento soggettivo del reato, che mira ad evitare di punire un soggetto che versi meramente in re illicita, assicurando che questi non risponda cioè per la sola sussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta e l'evento (a titolo, dunque, oggettivo), in assenza di un'indagine sulla sussistenza di un coefficiente soggettivo di colpevolezza.

Pertanto, affinché possa ascriversi un rimprovero di responsabilità a titolo di colpa in capo al datore di lavoro, la causalità della colpa richiede di verificare: a) se la regola cautelare violata mirava a tutelare il bene giuridico protetto, costituendo norma comportamentale di governo del rischio di verificazione dell'evento del tipo dei quelli che si è, in concreto, verificato; b) se il soggetto ritenuto responsabile della violazione avesse tenuto la condotta descritta dalla regola cautelare violata, l'evento si sarebbe ugualmente verificato.

Queste due verifiche consentono di accertare la c.d. doppia misura della colpa.

La prima verifica consente, infatti, di sciogliere il nodo in ordine all'accertamento della prevedibilità dell'evento, in quanto soltanto in presenza di una regola cautelare di governo del rischio di verificazione dell'evento è possibile imputare al soggetto un rimprovero per la sua violazione. Questa indagine consente così di recuperare un coefficiente soggettivo di colpevolezza, che, a partire dalle storiche sentenza della Corte costituzionale nn. 364 e 1085 del 1988, è richiesto dall'ordinamento ai fini della imputazione a titolo di colpa, per rispettare i canoni costituzionali imposti dall'art. 27, commi primo e terzo della Costituzione.

La seconda verifica, attenzionata in particolare dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota pronuncia ThyssenKrupp (Cass., Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343), attiene al segmento della evitabilità dell'evento, condotta nei termini dell'utilità del comportamento alternativo lecito che avrebbe dovuto tenere il soggetto agente. In particolare, le Sezioni Unite del 2014 richiedono un accertamento particolarmente rigoroso della evitabilità dell'evento, che va condotto pertanto alla stregua di una vera e propria indagine di tipo causale e richiede, pertanto, uno standard vicino alla certezza.

Il dibattuto tema della legge scientifica di copertura

In materia di malattie professionali, uno dei problemi maggiormente discussi e attenzionati dalla corposa giurisprudenza che si è susseguita nel corso degli anni è quello relativo all'individuazione della legge scientifica di copertura che sia in grado di spiegare, con un elevato grado di credibilità razionale e di attendibilità scientifica, la correlazione causale tra l'esposizione del soggetto ad agenti patogeni nei luoghi di lavoro e l'insorgere della malattia.

Questo perché non soltanto ogni agente nocivo ha le sue proprietà caratteristiche e comporta una diversa origine e decorso della malattia, ma anche perché non è sempre possibile accertare che l'esposizione, alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, costituisca causa dell'insorgere o comunque dell'aggravarsi della malattia e, pertanto, sia rilevante ai fini della declaratoria di responsabilità.

Leggi universali e leggi statistiche

Chiaramente, il problema della legge scientifica di copertura resta, considerando in particolare che le leggi universali (che sono quelle che offrono il dato certo che, a fronte di una certa condotta A, si verifica sempre l'evento B) sono di rarissima verificazione e sono idonee a descrivere soltanto un numero limitato di situazioni che si realizzano nella realtà.

Nella maggior parte dei casi si fa allora riferimento a leggi statistiche o probabilistiche, che consentono di affermare che una certa condotta comporta, in un x numero di casi o con una x percentuale di probabilità, la produzione di quell'evento.

Causalità generale e causalità individuale

La scienza penalistica ha individuato due pilastri della causalità, che consentono di accertare la responsabilità penale, attraverso un'indagine prima generale e poi particolare.

Il primo giudizio che occorre sempre effettuare è quello relativo al segmento della c.d. causalità generale, che si occupa di individuare la legge (universale o probabilistica) di copertura sotto la quale sussumere la fattispecie e che consenta di affermare che, a fronte di un certo antecedente, si verifica (sempre o in un certo numero di casi) un certo evento.

Una volta accertata la relazione causale descritta dalla legge di copertura, occorre successivamente effettuare il giudizio relativo al segmento della c.d. causalità individuale (o particolare), ossia verificare se, nel caso di specie, l'evento si sia realizzato grazie ala spiegazione causale individuata dalla legge scientifica di copertura ovvero per altra causa.

L'indagine epidemiologica

Lo strumento che viene utilizzato per accertare la causalità generale nell'ambito delle malattie professionali è la scienza della epidemiologia, che ne costituisce, pertanto, la legge scientifica di copertura.

L'epidemiologica è una scienza di medicina statistica, volta a verificare l'incidenza di una serie di fenomeni (ad esempio, l'insorgere di certe malattie) su una data popolazione.

Nei procedimenti penali, l'epidemiologia viene utilizzata come strumento per ricostruire ex post un evento che si è già verificato, al fine di stabilire se una certa malattia si sia verificata con frequenza maggiore in una certa parte della popolazione di un dato territorio, rispetto alla media della popolazione.

Considerando entrambi i segmenti (causalità generale e causalità individuale), attraverso l'indagine epidemiologica si tende ad accertare che in una data popolazione di riferimento in un certo ambiente, il verificarsi della malattia sia stato più frequente rispetto alla media della popolazione non considerata.

Una volta accertata la causalità generale con l'apporto dello strumento dell'epidemiologia, si passa poi a verificare la causalità individuale (o particolare). Tale segmento causale consente di accertare se l'evento concreto si sia verificato per la spiegazione che ne dà la legge scientifica di copertura ovvero se si sia verificato per altra causa e, dunque, sulla base di un decorso alternativo degli eventi.

I principi della pronuncia c.d. Cozzini (2010)

Questa pronuncia è centrale perché segna il percorso di recepimento del principio della pronuncia secondo la legge scientifica. Questo principio è stato inaugurato da Cassazione, IV Sez. Pen., sent. n. 38991/2010, con cui la Suprema Corte si è posta il problema della legge scientifica, ossia l'aderenza alla legge scientifica che supera l'intuito del giudicante. Tant'è vero che, proprio con riferimento alle malattie asbesto correlate, tale prima pronuncia identifica nella dose dipendenza una legge universale solo per il cancro del polmone. Allo stesso modo, la Suprema Corte identifica anche per l'asbestosi la dose dipendenza come legge universale, esplicativa della causalità individuale. Il vero snodo è quello relativo al mesotelioma, per il quale tale pronuncia ritiene si dibattesse tra due leggi scientifiche.

Questo trend è stato proseguito con Cassazione, IV Sez. Pen., sent. n. 43786/2010, nel quale si ribadisce la c.d. incertezza scientifica per quanto riguarda il mesotelioma.

Mesotelioma tra trigger dose e dose dipendenza

I datori di lavoro hanno agitato l'incertezza scientifica al fine di eludere le loro responsabilità per i numerosi casi di morti per mesotelioma, sostenendoche non vi sarebbe una legge scientifica universale per provare la causalità di questa patologia.

La teoria della trigger dose definitivamente tramontata è sostenuta da alcuni consulenti dell'industria. Costoro, senza mai pubblicare le loro presunte ricerche, sostengono che sarebbe rilevante un'unica fibra per l'insorgenza del mesotelioma. Si potrebbe dire che sono alla ricerca della fibra "perduta". Pertanto, si giunge alla successiva pronuncia (Cassazione, IV Sez. Pen., sent. n. 43786/2010).

Si tratta di un vero e proprio spartiacque compiuto e portato a termine dalla giurisprudenza di legittimità, su primato della scienza. In sostanza, il metodo galileiano trasfuso in ambito giuridico. Per cui, rileva che alla luce di Cassazione, IV Sez. Pen., sent. n. 44349/2023 il principio secondo il quale l'accertamento del nesso di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore può essere condotto, in assenza di una legge scientifica universale di copertura, sulla base di una legge statistica.

Tuttavia, prosegue la Suprema Corte: "A condizione che si sia verificato l'inveramento dell'effetto dell'insorgenza della malattia in una certa percentuale di casi esaminanti, secondo un procedimento logico fondato su dati indiziari processualmente emersi e unitariamente considerati nei singoli casi, idonei a condurre a una valutazione di elevata credibilità razionale".

Occorre naturalmente distinguere nella causalità tra la responsabilità penale e responsabilità civile.

Causalità attiva ed omissiva

In materia di malattie professionali e, in genere, nel settore dell'anti-infortunistica, le condotte che violano le regole cautelari di gestione del rischio sono sovente condotte omissive, consistenti nella mancata adozione delle adeguate cautele imposte dalla normativa di settore.

Il paradigma della equivalenza delle condotte omissive rispetto a quelle attive è costituito dall'art. 40 cod. pen., che dispone che la condotta può consistere tanto in un'azione quanto in una omissione e, al secondo comma, che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Mentre l'indagine in ordine all'accertamento della causalità attiva impone un solo passaggio, dato dalla dimostrazione, attraverso la sussunzione del fatto sotto la legge scientifica di copertura e condotto alla stregua della teoria condizionalistica, che a quell'azione è conseguito quel determinato evento, altrettanto non è nell'ipotesi della causalità omissiva.

La causalità omissiva richiede, infatti, un doppio giudizio: a) occorre anzitutto accertare se la condotta omissiva è stata causa dell'evento e b) in secondo luogo, accertare che, tenendo la condotta alternativa lecita, l'evento non si sarebbe verificato.

Nella materia delle malattie professionali non è sempre agevole stabilire se la condotta debba essere valutata alla stregua di un giudizio di causalità attiva od omissiva e, infatti, la giurisprudenza ha nel tempo precisato che, sovente, la tematica dell'esercizio dell'attività industriale e di impresa è composta da elementi tanto di azione quanto di omissione.

Peraltro, seguendo l'insegnamento delle già richiamate Sezioni Unite ThyssenKrupp del 2014, è possibile affermare che si ha azione quando il soggetto agente ha introdotto, nella situazione concreta, un fattore di rischio prima assente. Si ha, invece, omissione allorquando il soggetto agente non ha adottato le cautele che il sistema prevedeva dovessero essere adottate a fronte di situazioni di rischio che erano già presenti nella situazione concreta. Le Sezioni Unite suggeriscono pertanto un accertamento caso per caso al fine di stabilire se l'indagine vada condotta alla stregua del giudizio in ordine alla causalità attiva od omissiva.

I diversi standard probatori

Nell'ambito della causalità, occorre distinguere la responsabilità civile da quella penale. Perciò stesso, in relazione alla diversa ipotesi ed in ogni caso alle malattie professionali, si distinguono due standard probatori.

Causalità oltre ogni ragionevole dubbio

In sede penale, avendo l'oggetto dell'esercizio dell'attività giurisdizionale la finalità di decidere se limitare la libertà personale, lo standard è rigoroso. In ogni caso, si potrà confermare il nesso di causalità solo oltre ogni ragionevole dubbio. Se dovesse sussistere un dubbio ragionevole, in forza di un tentativo di falsificazione, evidentemente il giudizio non potrebbe che essere assolutorio.

E' qui che torna in gioco il rigore proprio del metodo galileiano, recepito dalla "Cozzini". Il relatore, Consigliere Blaiotta, in forza del suo sapere giuridico, detta i principi della induzione, deduzione e abduzione. Infatti, è proprio il tentativo di falsificazione dell'induzione a confermare il nesso di causalità. Se cioè non c'è un decorso esclusivamente alternativo, essendo sufficiente anche la concausa, si conferma l'imputabilità dell'evento a colui che ha posto in essere la condotta. Perciò, sulla base di tutte queste risultanze e ritornando al mesotelioma, il nesso di causalità è confermato ove si escluda il decorso alternativo.

Infatti, Cassazione, IV Sez. Pen., sent. n. 12151/2020 è giunta ad affermare che, essendosi individuata un'unica fonte espositiva ad amianto, sussiste la responsabilità penale. In questo modo, risulta confermato l'orientamento prevalente, in base al quale il giudizio deve essere reso sul caso concreto.

Responsabilità civile e causalità

In materia di responsabilità civile, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Civ., con sentenza n. 12041 del 2020 ha confermato il precedente orientamento. Infatti: “in fase di accertamento del nesso causale, ove l’art. 533 del codice di rito penale impone che il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento debba essere stabilita, a carico dell’accusa pubblica, ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’ (cfr. Cass SS.UU. pen. 30328 del 2002; Cass. SS.UU. pen. 38343 del 2014; Cass. SS.UU. pen. 33749 del 2017), mentre la regola nei giudizi civili è quella ‘del più probabile che non’ (tra varie, Cass. SS.UU. n. 576 del 2008; Cass. SS.UU. n. 23197 del 2018), con conseguenze di rilievo soprattutto nel caso di malattie o infortuni determinati da condotte omissive”.

Quindi, oltre a questo standard del "più probabile che non" rileva anche l'equivalenza causale. Ciò è rilevante non solo per il mesotelioma, ma anche per il tumore del polmone; così anche per tutte quante le altre patologie asbesto correlate. Pertanto, trova applicazione il principio di equivalenza causale e/o equipollenza, in base al quale tutti gli antecedenti hanno una loro rilevanza eziologica. E' dunque sufficiente dimostrare una qualsivoglia esposizione cancerogena per dimostrare e confermare il nesso di causalità. Ciò è rilevante perfino in sede penale.

In ogni caso, in sede civile, si conferma la sufficienza della concausa, ai sensi dell’art. 41 c.p., per cui, anche a voler ammettere altre esposizioni o altri agenti causali, in ogni caso, si conferma la responsabilità e l’obbligo risarcitorio (Cass. Sez. Lav., n. 5086/12).

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