In questa guida parliamo di stress lavoro correlato. Scopriamo in quali casi il datore di lavoro deve risarcire i danni provocati al lavoratore. Scopriamo cosa significa stress da lavoro e in quali casi si configura e quali sono i danni risarcibili.
L'avvocato Ezio Bonanni assiste le vittime di mobbing, bossing e nel risarcimento danni da stress lavoro correlato. Alla fine di questa pagina trovate il form da compilare per ottenere una prima consulenza gratuita.
È responsabilità del datore di lavoro infatti assicurare tutte le misure necessarie a proteggere l'integrità fisica e mentale del lavoratore e a prevenire situazioni di sovraccarico per i singoli dipendenti.
Non è facile definire e riconoscere lo stress da lavoro, perché ogni persona ha un modo diverso di reagire. L'eccessivo carico lavorativo può provocare diversi sintomi, dal semplice stress fino a una condizione di affaticamento fisico e mentale, con conseguente calo della concentrazione e riduzione delle performance professionali.
Lo stress lavoro correlato si manifesta infatti spesso quando il lavoro supera un livello di tollerabilità ragionevole. Questo può succedere con la costante richiesta di fare straordinari, quando si richiede al lavoratore di raggiungere obiettivi icompatibili con la normale attività lavorativi, rinvio di ferie frequente o lavoro frequente nei giorni festivi.
L’art. 2087 del codice civile dice che : “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le
misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Principio del diritto alla salute, inteso nel senso più ampio, come bene giuridico primario è inoltre garantito dall’art. 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Il principio di correttezza e buona fede dagli artt. 1175 e 1375 c.c.
L’art. 2087 c.c. stabilisce che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
In mancanza di queste particolari misure, sarà il datore di lavoro ad essere responsabile dei danni subiti dal lavoratore. Non si tratta di una norma che sancisce una responsabilità oggettiva. Rimane in capo al lavoratore che lamenti di avere subito un danno a causa dell’attività lavorativa svolta identificato come un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso tra l’uno e l’altra.
Solo se il lavoratore ha fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
La dimostrazione deve essere raggiunta almeno in termini di probabilità, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata ed intensità dell’esposizione a rischio.
Rispetto all’evento dannoso, l’attività lavorativa deve avere assunto un ruolo quantomeno concausale. Una volta provato lo stress lavorativo intenso e prolungato, al quale il lavoratore sia stato esposto in violazione dell’obbligo di sicurezza, si potrà ottenere il risarcimento del danno subito.
Il dipendente che subisce il clima teso con i colleghi ha diritto al risarcimento del danno causato dallo stress subito, anche in assenza di mobbing.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza 16.02.2024, n. 4279. Essa recita che è “illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c.”.
La Cassazione non ha ancora chiuso in maniera definitiva la causa, bocciando la decisione di merito e invitando i giudici a celebrare un altro appello con il quale riconoscere il ristoro alla lavoratrice. La Cassazione invita però così a riflettere sulla gestione dello stress in ambiente di lavoro e comprendere come stabilire in maniera oggettiva e chiara i parametri per rendere conoscibili a tutto il personale le condizioni di lavoro in un determinato ambiente.
La valutazione dello stress lavoro correlato, obbligatoria in ogni ambiente di lavoro, diventa quindi anche un'opportunità per il datore di lavoro, per dimostrare concretamente la buona gestione della propria attività.
La Corte di Cassazione ha più volte ribadito, anche nella sua ordinanza n. 34968/2022, che l'articolo 2087 del codice civile impone al datore di lavoro l'obbligo di tutelare l'integrità fisica e morale dei dipendenti. L'imprenditore deve quindi adottare tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza dei lavoratori, suddivise in:
Per ottenere un risarcimento per stress da lavoro, il lavoratore deve presentare prove concrete che dimostrino il rapporto causa-effetto tra l'ambiente di lavoro e il danno subito. La richiesta di risarcimento dovrà essere presentata in tribunale, con l'ausilio di un avvocato, dimostrando che il danno è derivato da condizioni lavorative insostenibili per ritmi, quantità di lavoro o durata nel tempo.
Il lavoratore non è tenuto a indicare la specifica norma violata dal datore di lavoro, poiché la semplice denuncia di un eccesso di prestazione lavorativa implica una violazione dell'obbligo di sicurezza previsto dall'articolo 2087 del codice civile.
Come già detto, alcuni esempi di prove includono ritmi di lavoro eccessivi, obiettivi irragionevoli o il superamento dei limiti temporali previsti dalla normativa. Il lavoratore e il suo legale dovranno dimostrare che il danno psicofisico è direttamente collegato al carico di lavoro svolto, stabilendo così un chiaro rapporto di causalità tra il lavoro e il pregiudizio subito.
Grava invece sul datore di lavoro l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, ovvero di aver garantito, direttamente o tramite fattiva vigilanza e intervento sull’operato dei collaboratori, la protezione legislativamente richiesta ex art. 2087 c.c.
Il danno non patrimoniale: "deve essere allegato e provato con documenti, testimonianze o anche ricorrendo alle presunzioni" (s.u. 11/11/2008 n. 26972). Spesso per la valutazione del danno biologico ma anche per quello esistenziale e morale viene richiesta la consulenza tecnica d'ufficio (ctu).