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Lucro cessante: cos'è, una guida completa

Il lucro cessante rappresenta una delle due componenti fondamentali del danno patrimoniale e si configura come il mancato guadagno che una persona avrebbe potuto ottenere se un evento dannoso non si fosse verificato. Insieme al danno emergente, il lucro cessante è disciplinato dall’articolo 1223 del Codice Civile, che stabilisce le regole per il risarcimento del danno patrimoniale in caso di illecito civile o inadempimento contrattuale.

Mentre il danno emergente riguarda le perdite già subite e documentabili, il lucro cessante si riferisce al vantaggio economico non realizzato a causa dell’evento lesivo. Questa componente è spesso più complessa da quantificare rispetto al danno emergente, poiché implica una valutazione prognostica del guadagno che il danneggiato avrebbe ragionevolmente ottenuto in condizioni normali.

In questa guida vediamo nel dettaglio cos'è, quando se ne può ottenere il risarcimento, come si dimostra e come si calcola.

Cos’è il lucro cessante: una definizione

Il lucro cessante è definito come il mancato guadagno o la perdita di opportunità economiche che si verificano a seguito di un fatto illecito o di un inadempimento contrattuale. È una componente del danno patrimoniale che, pur non manifestandosi immediatamente come una perdita tangibile, incide negativamente sul patrimonio del soggetto danneggiato in termini di mancata crescita o sviluppo.

Ad esempio, in un incidente stradale che coinvolge un lavoratore autonomo, il lucro cessante può includere le somme che il professionista avrebbe guadagnato nel periodo di inattività forzata.

Allo stesso modo, nel caso di un’azienda danneggiata da un’interruzione di fornitura, il lucro cessante può comprendere i profitti non realizzati a causa dell’arresto della produzione.

In cosa consiste il lucro cessante?

Il danno dal lucro cessante può consistere nella:

  1. mancata utilizzazione del bene; ad esempio, nel mancato godimento di un bene fruttifero, come un macchinario o le merci o alberi da frutta; il danno consiste nel guadagno che il creditore avrebbe tratto nell’uso del bene, con ragionevole certezza;
  2. perdita o diminuzione della capacità di lavoro specifica (da non confondere con quella generica che rappresenta una posta di danno non patrimoniale). Si verifica a seguito di lesioni personali e si sostanzia nella perdita totale o parziale del guadagno che il danneggiato avrebbe tratto dall’esercizio della propria attività.
  3. perdita di prestazioni assistenziali o alimentari (ad esempio, il la morte del padre che manteneva i figli o del coniuge che sosteneva il congiunto).

Normativa e riferimento all’articolo 1223 del Codice Civile

Come per il danno emergente, anche il lucro cessante trova la sua base normativa nell’articolo 1223 del Codice Civile, che impone il risarcimento delle conseguenze immediate e dirette del fatto dannoso. Il legislatore italiano stabilisce che il risarcimento del lucro cessante deve rispettare i seguenti principi:

  1. causalità diretta: il mancato guadagno deve derivare in modo immediato e diretto dall’evento lesivo.
  2. Prevedibilità: il lucro cessante deve essere prevedibile al momento del fatto illecito o della stipula contrattuale, salvo che il danno derivi da dolo.

Questi principi limitano il risarcimento alle perdite che si possono ragionevolmente attribuire al comportamento lesivo, escludendo eventuali danni remoti o indiretti.

Differenze tra lucro cessante e danno emergente: quali sono?

La principale distinzione tra il lucro cessante e il danno emergente riguarda la natura del pregiudizio economico:

  • Il danno emergente si riferisce a perdite già concretizzate e facilmente documentabili, come spese sostenute o beni danneggiati.
  • Il lucro cessante, invece, riguarda guadagni potenziali non realizzati e richiede una valutazione proiettiva, basata su dati e ipotesi.

Mentre il danno emergente tende a essere più oggettivo, il lucro cessante richiede un’analisi probabilistica. Infatti deve tener conto delle aspettative economiche legittime e delle circostanze che avrebbero influenzato i guadagni futuri.

Quando si ha diritto al risarcimento del lucro cessante?

Il diritto al risarcimento del lucro cessante sorge in tutte le situazioni in cui l’evento lesivo causa un mancato guadagno diretto e quantificabile. Le fattispecie più comuni includono:

  • interruzione dell’attività lavorativa: ad esempio, un lavoratore autonomo che subisce un danno fisico può perdere opportunità di guadagno a causa dell’impossibilità di esercitare la propria professione.
  • Perdita di chance: si tratta della mancata realizzazione di una possibilità economica ragionevolmente prevedibile, come l’impossibilità di partecipare a una gara d’appalto o di concludere un affare.
  • Interruzioni aziendali: il blocco della produzione o della distribuzione di beni può comportare un mancato profitto per l’impresa.

Come si calcola il risarcimento del lucro cessante?

Il calcolo del lucro cessante è una delle operazioni più complesse nel contesto del risarcimento del danno patrimoniale, poiché implica una proiezione economica basata su dati concreti e valutazioni probabilistiche. La determinazione dell’importo risarcibile si fonda su tre elementi principali:

  1. dati storici e contabili: il punto di partenza per calcolare il lucro cessante è rappresentato dai guadagni realizzati dal danneggiato in periodi precedenti al fatto lesivo. Ad esempio, si possono analizzare le dichiarazioni dei redditi o i bilanci aziendali per stimare il reddito medio o il profitto annuo.
  2. Proiezioni economiche: oltre ai dati storici, si devono considerare le condizioni economiche attuali e future, come l’andamento del mercato, l’evoluzione della professione o dell’azienda e le prospettive di crescita.
  3. Durata del pregiudizio: il periodo di tempo in cui il danneggiato è stato privato del guadagno deve essere valutato con precisione, tenendo conto delle tempistiche necessarie per il ripristino della situazione precedente.

Le stime devono essere effettuate con il supporto di perizie tecniche o economiche, che forniscano una valutazione accurata del danno. Inoltre, è necessario applicare un tasso di attualizzazione per calcolare il valore presente del danno futuro.

Giurisprudenza e calcolo del danno da lucro cessante

Il concetto di lucro cessante si estende anche al danno futuro, ossia a quel pregiudizio economico che si manifesterà con elevata probabilità nel tempo. Non si include, tuttavia, il guadagno puramente ipotetico o aleatorio, come stabilito dalla giurisprudenza (Cass. 7647/1994). Inoltre, dal calcolo del risarcimento devono essere sottratti eventuali benefici che il danneggiato abbia ottenuto in conseguenza dell'evento lesivo, secondo il principio della compensatio lucri cum damno.

Ad esempio, in caso di ritardo nella consegna di un bene da parte del venditore, se l'acquirente paga il prezzo pattuito con ritardo, tale ritardo costituisce un vantaggio solo qualora il venditore dimostri che il compratore abbia investito quel denaro in attività redditizie (Cass. 1562/2010). In questa situazione, occorre considerare come il mancato pagamento del prezzo abbia influito positivamente sul patrimonio dell'acquirente e, più nello specifico, valutare l'uso concreto che il promissario acquirente abbia fatto di quel denaro non ancora versato al venditore.

La compensatio lucri cum damno in giurisprudenza

La Cassazione afferma in proposito che:

  • «È, infatti, vero che alcune pronunce di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale deve riparare il pregiudizio subito dal danneggiato sicché, nel caso di inadempimento di contratto preliminare di vendita, è necessario tenere conto, in linea di principio, dell'incidenza economica positiva, nel patrimonio del compratore, del mancato pagamento del prezzo e, specificamente, dell'utilizzazione concreta che il promissario acquirente abbia fatto del prezzo non versato al venditore (sentenza 10/9/1991 n. 9485). E' del pari vero, però, che - come chiarito nella giurisprudenza di legittimità - il ritardo del compratore nel pagamento del prezzo dell'immobile, in conseguenza del ritardo nella consegna dello stesso da parte del venditore, non costituisce un vantaggio detraibile dal pregiudizio subito dal compratore in difetto della prova, da fornire da parte del venditore, che tale vantaggio sussista effettivamente, per avere, ad esempio, il compratore impiegato il danaro non versato in investimenti lucrosi» (Cass. 1457/1981; Cass. 1562/2010).

Onere della prova del lucro cessante: come funziona?

L’onere della prova del lucro cessante spetta al danneggiato in caso di illecito, che deve dimostrare:

  1. l'esistenza del danno: deve provare che il guadagno non realizzato è una conseguenza diretta e immediata del fatto lesivo.
  2. La sua quantificazione: è necessario fornire documentazione e dati concreti che consentano di stimare con ragionevole certezza l’entità del mancato guadagno.

Tuttavia, la giurisprudenza riconosce che il lucro cessante non può essere provato con la stessa precisione del danno emergente. Pertanto, sono ammesse valutazioni basate su criteri probabilistici e presunzioni fondate su elementi oggettivi.

Il danno patrimoniale può derivare anche da un inadempimento contrattuale e l’onere della prova cambia a seconda della tipologia di responsabilità. Infatti:

  • in caso di responsabilità contrattuale avviene un’inversione dell’onere della prova e spetta al debitore dimostrare che l'inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Nel caso della distruzione delle merci trasportate, grava sul vettore l’onere di dimostrare che il perimento del bene non è ascrivibile a lui;
  • in caso di responsabilità aquiliana, cioè di un illecito, coem già detto, l’onus probandi del pregiudizio ricade sul danneggiato.

Quindi:

  • il danneggiato deve dimostrare gli elementi costitutivi del danno e la sua diretta consequenzialità rispetto all'inadempimento e all'illecito (nesso causale), l’an e il quantum debeatur;
  • il danneggiante deve allegare i fatti impeditivi alla produzione del danno.

La riduzione della capacità lavorativa specifica va provata

Il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, anche se di elevata entità, non determina ipso facto la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno.

  • «Integrando la menomazione della capacità lavorativa specifica un pregiudizio di carattere patrimoniale, il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, quantunque di elevata entità, non determina ipso facto la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso» (Cass. 5786/2017; cfr., ex plurimis, Cass. 4673/2016; Cass. 14517/2015; Cass. 15238/2014; Cass. 2644/2013; Cass. 3290/2013).

Sul risarcimento del danno si pagano le tasse?

La risposta è sì, solo sulla componente di risarcimento relativa al lucro cessante.

Infatti, trattandosi di un mancato guadagno, rappresenta una quota di reddito che, in assenza del pregiudizio, si sarebbe conseguita e, quindi, risulta imponibile ai fini fiscali.

La tassazione del risarcimento da lucro cessante è esclusa solo relativamente agli importi liquidati a titolo di invalidità permanente o per morte, benché corrisposti in sostituzione del reddito perduto.

Una particolare forma di lucro cessante si verifica nel caso di danni derivanti da lesioni personali. Qui, il danno si collega alla perdita o alla riduzione della capacità lavorativa specifica del soggetto danneggiato. Questo tipo di pregiudizio non solo compromette l’integrità fisica, ma può anche limitare o rendere più difficoltosa l’attività professionale del danneggiato, con conseguenze dirette sul reddito.

La capacità lavorativa, intesa come l’abilità di un individuo di generare un reddito, è suddivisa dalla giurisprudenza in due categorie distinte:

  • Capacità lavorativa generica, che rappresenta la possibilità di svolgere un qualsiasi lavoro compatibile con le proprie attitudini e condizioni fisiche. Questa compromissione rientra solitamente nel danno non patrimoniale.
  • Capacità lavorativa specifica, che riguarda l’attitudine a continuare l’attuale attività professionale o lavorativa, come quella di un avvocato o di un operaio. La perdita o riduzione di questa capacità genera un danno patrimoniale diretto, configurandosi come lucro cessante legato alla diminuzione dei guadagni effettivi del danneggiato.

Per ulteriori approfondimenti su questo argomento, si rimanda alle analisi specifiche relative al danno futuro e alla sua valutazione.

Sentenze e chiarimenti giurisprudenziali

La giurisprudenza ha contribuito significativamente a chiarire i criteri per il risarcimento del lucro cessante. Tra le sentenze più rilevanti:

  • Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 15192/2005: ha stabilito che il lucro cessante deve essere risarcito anche quando il guadagno mancato non è certo, purché sia dimostrabile con un ragionevole grado di probabilità.
  • Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 26018/2015: ha ribadito l’importanza della prova documentale e della perizia tecnica per quantificare il lucro cessante in modo adeguato.

La Corte ha inoltre sottolineato che, in caso di dubbio, il giudice deve adottare una valutazione equitativa basata sugli elementi disponibili.

Commenti sulla responsabilità civile e lucro cessante

Nel contesto della responsabilità civile, il risarcimento del lucro cessante mira a garantire che il danneggiato non subisca un pregiudizio economico a lungo termine a causa dell’evento lesivo. Tuttavia, la natura prognostica di questo danno rende indispensabile un’analisi rigorosa dei fatti e delle circostanze del caso concreto.

Il giudice ha il compito di bilanciare il diritto del danneggiato a un risarcimento equo con la necessità di evitare richieste speculative o eccessive. Questo equilibrio si ottiene attraverso l’applicazione di criteri oggettivi e presunzioni basate su dati concreti.

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