Nella struttura del reato, il nesso di causalità costituisce un momento essenziale dell'accertamento del fatto tipico. Infatti, il fatto tipico descritto dalla singola fattispecie incriminatrice si compone di un elemento che è sempre necessario, che è dato dalla condotta, e, quando si tratta di reati di evento, dell'evento stesso.
Il nesso di causalità costituisce il collegamento eziologico che consente di ricondurre una certa condotta ad un determinato evento, in modo tale da poter imputare all'agente un rimprovero a titolo di responsabilità, sulla base di quanto disposto dall'art. 40 cod. pen. e anche alla luce del fondamentale principio di cui all'art. 27 Cost.
Il nesso di causalità consente, pertanto, di poter affermare che una certa condotta (A) ha cagionato un certo evento (B).
L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità da reato costituisce storicamente un tema molto dibattuto e oggetto di una evoluzione nella scienza penalistica che si intende richiamare brevemente ai fini del presente contributo.
Per comprendere invero la complessità della tematica, occorre preliminarmente osservare che l’attribuzione di un certo evento ad una certa condotta, ai fini della imputazione a titolo di responsabilità dell’evento stesso all’agente, è un’operazione che, sovente, si rende particolarmente difficile da effettuare.
Nella maggior parte delle ipotesi che si presentano all’attenzione della giurisprudenza, non è così agevole accertare che la causa di un determinato evento sia essa stessa la sola che lo abbia cagionato, ovvero se la stessa abbia concorso con altre cause a cagionarlo, o, ancora, se esista un’altra causa, da sola sufficiente, che, interrompendo il nesso di causalità innescato dalla e/o dalle altre, abbia determinato l’evento.
Nella maggior parte dei casi, infatti, a produrre un determinato evento non è una sola condotta, bensì plurime cause che, concorrendo tra loro, determinano la lesione del bene giuridico protetto e diviene, pertanto, complesso accertare se la singola causa, che sia riconducibile alla condotta tenuta dall’agente e oggetto di accertamento, possa ascriversi al ciclo causale che ha infine cagionato l’evento.
Prescindendo in questa sede dalla disamina delle teorie che la scienza penalistica ha elaborato al fine di circoscrivere gli antecedenti causali che possano dirsi rilevanti ai fini dell’accertamento del nesso di causalità – in quanto, ipoteticamente, ogni antecedente causale che ha portato infine al prodursi dell’evento è potenzialmente idoneo ad essere valutato nell’ambito di quella catena causale – la teoria, che è invalsa nella dottrina e nella giurisprudenza maggioritarie, che è stata ritenuta soddisfare maggiormente le istanze di delimitazione della responsabilità da reato è la teoria della condicio sine qua non.
In base a tale teoria, secondo un giudizio di prognosi postuma, è possibile affermare che una certa condotta ha cagionato un determinato evento quando, eliminando mentalmente la condotta dal ciclo causale che ha portato alla verificazione di quell’evento, l’evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato diversamente.
L'accertamento della causalità, già di per sé complesso per le ragioni sopra esposte, si rende ancor più difficile quando non soltanto concorrono più cause a cagionare un determinato evento, ma ancor più quando tali cause non siano sorrette da una solida base scientifica che consenta di accertare, con un grado di probabilità vicino alla certezza, che le stesse siano effettivamente idonee a cagionare quel determinato evento.
Infatti, la regola di causalità deve essere sorretta da c.d. leggi scientifiche che consentano di affermare con certezza o con alta probabilità logico-statistica che una certa condotta possa effettivamente portare alla produzione di quel determinato evento. Come è infatti facile immaginare che se un soggetto, con un colpo di pistola che esplode nel petto della vittima, ne ha cagionato la morte, non lo è altrettanto allorquando l’evento lesivo discenda da fattori che non sempre portano alla produzione di quell’evento o che comunque non ne costituiscono la causa esclusiva né, in alcuni casi, nemmeno concorrente. In questi casi non è infatti possibile accertare che, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili, A sia sempre causa di B.
Le due principali norme che concorrono a offrire una regola della responsabilità e della causalità, tanto in ambito penale quanto in ambito civile. sono articoli 40 e 41 del codice penale. Tali norme costituiscono, infatti, i due pilastri intorno ai quali si costruisce l’impalcatura giuridica in materia di accertamento del nesso causale.
In particolare, l’art. 40 cod. pen. si occupa di offrire una regola di responsabilità, disponendo che “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione” e garantendo, in tal modo, che l’imputazione di un fatto costituente reato a un certo soggetto può dipendere soltanto da una sua azione od omissione.
Al secondo comma, invece, la norma contempla la regola dell’equivalenza dell’azione e dell’omissione, chiarendo che “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, in tal modo ricomprendendo nell’area del penalmente (o meglio, del giuridicamente) rilevante anche comportamenti omissivi, a seguito dei quali si sia poi prodotto l’evento lesivo.
L’art. 41 cod. pen. concorre poi a completare il quadro della causalità, offrendo una disciplina del concorso di cause e disponendo che “1. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento. 2. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sè un reato, si applica la pena per questo stabilita”.
Uno degli ambiti che maggiormente ha posto la problematica relativa all'accertamento del nesso di causalità è proprio quello delle malattie professionali.
Infatti, per lungo tempo, le uniche malattie che potevano dirsi conseguenza certa di una esposizione del lavoratore ad un’ambiente non salubre e nocivo per la sua salute (es. esposizione prolungata ad agenti patogeni) erano quelle racchiuse nelle tabelle richiamate dall’art. 3 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, sulla base di una classificazione nosografica degli agenti patogeni e delle malattie all’epoca riscontrate come certamente riconducibili ad una esposizione agli stessi, consentiva l’indennizzabilità delle sole malattie professionali nelle stesse richiamate e, peraltro, soltanto limitate ad alcuni ambiti lavorativi.
Ora, a seguito di una serie di pronunce della giurisprudenza e dell’intervento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 179/1988), che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 3 cit. nella parte in cui non prevede che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro”, sono state riconosciute come indennizzabili ogni altra patologia di cui il lavoratore riesca a dimostrare l’origine professionale.
L'amianto, il terribile cancerogeno del terzo millennio, continua ad uccidere. In una più recente revisione, l'OMS (Asbestos) ha finalmente riconosciuto che ogni anno sono più di 200.000 i decessi per malattie asbesto correlate. E' ancora un dato sottostimato, rispetto alle stime dell'ONA.
Perciò, come già chiarito ne "Il libro bianco delle morti di amianto in Italia" il numero dei decessi per malattie asbesto correlate è in aumento anche in Italia. Questo trend è in continua crescita: questo è dovuto al ritardo delle bonifiche. Come già chiarito più volte, si pongono diversi ambiti di tutela, quello preventivo, quello indennitario e quello risarcitorio.
Quindi, l'azione legale può essere intentata anche in via preventiva al fine di rimuovere la condizione di rischio. Invece, in caso di danni alla salute deve essere attivata prima di tutto la tutela previdenziale. In ogni caso, le prestazioni INAIL sono solo degli indennizzi. Sussiste, quindi, anche il diritto al risarcimento del danno.
In caso di danni da amianto sussiste il diritto al risarcimento del danno. Come già evidenziato, il risarcimento è riferito sia al danno patrimoniale, sia al danno non patrimoniale da amianto. Perciò, sulla base di tali risultanze, è evidente che occorre distinguere tra i vari ambiti della causalità.
In ogni caso, proprio l'accertamento in sede INAIL ha una rilevanza fondamentale dalla quale non si può prescindere per la conferma del nesso di causalità.
Perciò, tra le funzioni specifiche dell'assistenza legale vi è innanzitutto la prevenzione e la protezione. Solo in via sussidiaria la tutela legale può essere esplicata in chiave risarcitoria.
Le funzioni dell'Avvocatura sono centrali nella difesa del diritto alla salute. Per questi motivi, l'Avv. Paolo Nesta, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Roma, è intervenuto al convegno ONA. Questo convegno si è tenuto il 23 novembre 2023 presso la Regione Lazio.