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Published: Agosto 4, 2022

Porto Trieste: sentenza storica sui danni psichiatrici da amianto

Un lavoratore del porto di Trieste al centro di una sentenza storica che riconosce il "disturbo psichiatrico" quale patologia asbesto correlata.

Porto di Trieste: giustizia è fatta

Porto di Trieste. Il 14 luglio 2022 la Corte di Appello di Trieste, ha accolto l’appello di Claudio Visintin, dipendente della Compagnia Portuale/Coop.

L’uomo (71 anni) originario di Bue d’Istria, si era ammalato di patologie asbesto correlate svolgendo le sue normali attività lavorative dal 1970 al 1981.

Oltre alle placche pleuriche legate all’esposizione all’amianto, al portuale era stata diagnosticata una "lesione psicobiologica"disturbo dell'adattamento con umore depresso ad andamento cronico.

La storia di Visintin e il lavoro al porto di Trieste 

Quella di Visintin è una triste storia che lo accomuna a tanti altri operai, ammalatisi a causa dell’esposizione al pericoloso patogeno, perché non utilizzavano protezioni adeguate e non conoscevano i rischi ad essa legati.

La malta d’amianto, sia che fosse preparata a bordo, sia a terra, importava infatti rilevante diffusione di fibre nell’aria. 

Utile precisare che dal 1967 nei cantieri di Trieste non si costruiscono più navi e vengono svolti soltanto lavori di demolizione e ristrutturazione.

Cosa che amplifica il rischio di inalazione di fibre di asbesto e in effetti, nel tempo sono state parecchie le categorie lavorative esposte al patogeno.

Tra di esse: coibentisti (impiegano asbesto a spruzzo per il rivestimento di pavimenti, paratie, ecc.), calderai e muratori (addetti alla manutenzione e riparazione di caldaie e tubature). E ancora elettricisti – specie se trapanatori – che devono operare su lamiere pretrattate con amianto.

Anche la categoria professionale di Vicentin rientrava nell’elenco di quelle a rischio.
Nello specifico, l’uomo si occupava di facchinaggio per una ditta privata esterna, che operava al porto di Trieste.

Il contatto con la fibra killer, sarebbe avvenuto movimentando quotidianamente sacchi di juta contenenti asbesto e manipolando materiali friabili e compatti in amianto

Una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile 

Nel 2015, nonostante l’Inail avesse accertato la malattia professionale di ispessimenti pleurici, a Visentin era stata riconosciuta una menomazione all’integrità psicofisica del 3%. 

Una percentuale ridicola, se si pensa che la sua condizione rappresenta spesso il primo stadio del mesotelioma.

Di conseguenza, si era visto negare il diritto all’indennizzo, che per legge si ottiene quando i postumi invalidanti sono pari al 6%.

Visintin arenato in un “Porto” di angoscia 

L’aspetto psicologico del disagio tuttavia iniziò a condizionare pesantemente la vita dell’operaio. Oltre al malessere fisico, dovuto all’asbestosi, le costanti preoccupazioni lo stavano spingendo nel tunnel della depressione. Tanto che il 23 febbraio 2016, tentò il suicidio.

Nel 2021, il Tribunale di Trieste ritenne che non vi era alcun legame fra le patologie asbesto correlate e il disagio psichico dell’uomo. Poi la sentenza del 14 luglio: una vittoria che potrebbe creare un precedente giudiziario di grande importanza.

L’avv. Ezio Bonanni parla di "una vittoria storica”

Fortunatamente la nuova sentenza della Corte di Appello ha quantificato un danno complessivo liquidato di € 12.573,00.

All’importo vanno aggiunte le rivalutazioni annuali e gli interessi.

Per l'avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) «questa sentenza apre le porte ad una nuova frontiera del danno e afferma che anche il danno psichico, oltre al danno morale, deve essere risarcito».

«Abbiamo ottenuto un significativo risultato che finalmente gli rende un po' di giustizia, anche se questa somma è minima. Purtroppo questo rischio è sempre sottovalutato, anche in termini risarcitori, nonostante il flagello dell’amianto, che ha ucciso e continua ad uccidere in Trieste e nella Venezia Giulia»–aggiunge Bonanni, legale del portuale.

Sulla stessa linea il commento dell’Avv. Corrado Calacione: «Claudio ha avuto il merito di non arrendersi all’ostruzionismo dell’Autorità Portuale, che cerca sempre di negare le sue responsabilità, e ha interpretato il suo impegno anche per rendere dignità e giustizia alle decine e decine di colleghi di lavoro che purtroppo sono deceduti».

Friuli-Venezia Giulia, regione devastata dall'amianto

Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, l’ultimo rapporto ReNaM ha fotografato una situazione allarmante legata alla presenza del terribile minerale.

I dati forniti dalla Regione parlano chiaro: nella provincia di Trieste ed è stata stimata per difetto in almeno 1 milione di tonnellate, rispetto ai circa 40 milioni del territorio nazionale, con 2.300.000 m² di coperture in cemento amianto ancora presenti.

Il numero dei casi di mesotelioma è di 1346 fino al 2018. 

L'Osservatorio nazionale amianto è operativo anche nel Friuli Venezia Giulia e a Trieste, si può richiedere l’assistenza anche allo sportello amianto on line o al numero verde 800 034 294. L’associazione sta lavorando alla mappatura dei siti contaminati, ed è per questo che è stata realizzata anche l’App Amianto, che permette di individuare i siti contaminati e anche di segnalarli.

Porto di Trieste: un quadro drammatico

Come accennato, la vicenda di Visintin non è affatto isolata. Un’attenta analisi sulla situazione portuale dell’area triestina, restituisce un quadro molto pesante delle condizioni di lavoro nella navalmeccanica, sia per ciò che riguarda gli infortuni sia per ciò che attiene alle malattie professionali. 

Nel primo caso, gli Indici di Frequenza sono peggiori rispetto alla media del settore industriale.

Parlando delle malattie professionali, la situazione è ancora più drammatica. Le patologie più frequenti sono la sordità da rumore, le broncopneumopatie, le angiopatie. Capitolo a parte riguarda quelle asbesto correlate: in assoluto le più nefaste.

L’emergenza amianto, con il suo agghiacciante quadro epidemiologico, è sicuramente la peggiore sciagura mai avvenuta nel campo delle malattie occupazionali. 

Circostanza che ci dovrebbe fare riflettere su un’emergenza, che dovrebbe essere un tema centrale nella storia dei Paesi industrializzati e, nello specifico, delle aree caratterizzate dalla presenza della cantieristica navale.

Una lenta presa di coscienza. Gli anni settanta

Sebbene almeno a livello dirigenziale si sarebbero dovuti conoscere i rischi dell’amianto già in precedenza, la prima vera presa di coscienza arrivò agli inizi degli anni Settanta.

Uno dei primi a realizzarne la portata devastante fu il prof. Bianchi, che nel 1979 era primario di Anatomia Patologica all’Ospedale di Monfalcone.

Il medico aveva saputo che alcuni operai erano morti in conseguenza di patologie connesse all’utilizzo dell’asbesto, ma all’inizio non si aveva l’esatta percezione che fosse l’amianto la causa di questi morti.

Grazie a numerosi studi, la comunità scientifica attestò definitivamente la cancerogenicità del minerale e la sua responsabilità nello sviluppo di neoplasie particolarmente virulente quali il mesotelioma e il carcinoma polmonare

Per il mesotelioma (come anche per l’asbestosi) la “causa scatenante” risultava già allora certa e pressoché univoca: l’inalazione delle fibre di amianto.

Nel caso del carcinoma polmonare potevano invece subentrare diverse concause come il tabagismo o altri cancerogeni che interagivano nel manifestarsi del tumore.

L’intervento dei sindacati

A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, le forze sindacali sollecitarono degli interventi d’urgenza in materia di amianto, tenuti nelle sedi di confronto con la Direzione portuale.

Non si riuscì tuttavia mai giungere a un accordo per la messa al bando dell’utilizzo nei cantieri triestini.

Da una parte, gli studi avevano evidenziato la cancerogenicità dell’amianto e relativi rischi per i lavoratori della navalmeccanica italiana.

Dall’altro, le ricerche non avevano ancora sortito effetti immediati, di conseguenza, non vennero adottati accorgimenti e precauzioni, atti a tutelare la salute dei lavoratori. 

Da quel momento, però, in particolare i vertici aziendali non potevano “non sapere” che l’asbesto provocasse l’insorgenza di neoplasie. Il profitto era forse più importante?

A partire dalla seconda metà del decennio prese avvio una lenta e troppo graduale fuoriuscita dall’uso dell’amianto nei cantieri dell’Alto Adriatico.

Per avere una regolamentazione definitiva, si dovette aspettare fino al 1992.

Il Parlamento italiano emanò infatti la legge n. 257 che – finalmente – mise al bando l’uso dell’amianto, mentre fino all’inizio degli anni Ottanta erano incessantemente aumentate le tonnellate impiegate all’interno del ciclo produttivo.

I Quaderno del Ministero della Salute snocciolano qualche dato

I «Quaderni del Ministero della Salute» elaborarono i dati provenienti dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi e ciò che emerse fu assolutamente scioccante.

Attraverso i tassi grezzi di incidenza del tumore per 100.000 residenti (numeri al ribasso secondo l’ONA) furono identificati i 61 comuni in Italia con i maggiori tassi relativi.

Ad essere maggiormente interessati erano le aree caratterizzate dalla presenza della cantieristica navale.

Nello specifico: i comuni della provincia di Trieste (Muggia e Trieste); i comuni dell’area Monfalconese (San Canzian d’Isonzo, Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Staranzano) e quelli della provincia di Venezia (Venezia, Mira e Spinea).

Conclusioni

L’unica forma di prevenzione contro un siffatto rischio per la salute, sia sul luogo di lavoro sia nell’ambiente domestico, può realizzarsi eliminando l’asbesto da ogni forma d’uso.

Oggi è infatti possibile sostituire l’amianto con materiali presenti in commercio, dotati di equivalenti o superiori proprietà, ma privi di effetti cancerogeni.

Fonti 

Il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, Roma, INAIL

«Stato dell’arte e prospettive in materia di contrasto alle patologie asbesto-correlate», in Quaderni del Ministero della Salute, 15, 2012, p. 45.

Gobbato Ferdinando (a cura di), Indagine epidemiologica sulla morbilità dei lavoratori dell’Italcantieri di Monfalcone nel periodo 1967-1972 eseguita per iniziativa del Consiglio di Fabbrica, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Assessorato dell’Igiene e della Sanità, 1974, p. 49-50. 

GOBBATO, Ferdinando, FERRI, Roberto, «Ricerca epidemiologica sull’incidenza del mesotelioma della pleura nella provincia di Trieste», in Lavoro Umano, 6/1973, pp. 3-13. 

Tavola rotonda su Le pneumopatie professionali nei cantieri navali, in Pneumologia. Atti delle giornate mediche triestine 26-27-28 settembre 1974, Ventottesimo Anno, Trieste, s.e., 1976, pp. 517-518.

GELLNER, Ernesto, VALENTI, Paolo, Storia del Cantiere San Marco di Trieste, Trieste, Luglio editore, 2002, pp. 210, 218-219.

Archivio Istituto di ricerca Livio Saranz, FLM-Trieste, Cdf ATSM, Commissione Ambiente Lavoro, Opuscolo senza titolo, 19 novembre 1976, p. 2.

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